02/18/2007
Interview: Enrico Mitrovich
“Game Art Worlds: The Early Years” is an ongoing series curated by Mathias Jansson and Matteo Bittanti on the pioneers of Game Art. It features interviews with seminal artists that changed the landscapes of Game Art. Our goal is to illustrate the genesis and evolution of a phenomenon that changed the way game-based art is being created, experienced, and discussed today.
This interview took place in February of 2007 and was originally published on videoludica.com
Nato a Vicenza nel 1962, Enrico Mitrovich e’ uno degli artisti italiani piu’ sensibili alle potenzialita’ del medium videoludico. Mitrovich, infatti, e’ stato tra i primi in Italia a usare l’estetica del videogame come strumento espressivo, e, insieme, come tema di riflessione. Mitrovich, ha saputo riconoscere che il videogame e’ un terreno di sperimentazione di linguaggi ed estetiche, una forma di avanguardia mascherata da intrattenimento per adolescenti. In “Ed e’ subito sera”, Mitrovich giustappone Salvatore Quasimodo (“Ed ‘ subito sera/ Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera) con un’immagine di coin-op di una sala giochi vicentina. Ho avuto il piacere di parlare dell’opera di Mitrovich nel 2002, nel saggio “[FUORI GIOCO’> Sconfinamenti videoludici” incluso in Per una cultura del videogiocare. Teorie e prassi del videogiocare. Quella che segue e’ una conversazione che si e’ svolta in rete con Enrico Mitrovich. L’intervista e’ stata preceduta da un intenso scambio epistolare, di cui pubblico, in chiusura, alcuni frammenti.
Matteo Bittanti: Sul piano estetico, cosa ti affascina dei videogiochi che non trovi in altri media?
Enrico Mitrovich: Cio’che mi ha sempre affascinato esteticamente nei videogiochi è stata la costante correlazione fra l’interfaccia grafica e le finalità funzionali a cui il videogioco tende. L’interfaccia grafica è causa ed effetto nell’evoluzione dell’hardware generando così con quest’ultimo un circolo virtuoso. I linguaggi artistici maturi, come il cinema ad esempio, hanno subito paradossalmente il dilemma amletico opposto: di fronte ad una illimitata possibilità tecnica si è delineato tendenzialmente un impoverimento medio dei contenuti (come ad esempio viene ossessivamente sottolineato nel film di Wim Wenders Lisbon Story). Questo è l’ultimo dei problemi che i videogames hanno dovuto e devono affrontare. I programmatori dei videogiochi hanno sempre forzato ai limiti l’uso dell’hardware unica strettoia all’espressione delle loro copiose energie creative. Questa sorta di costrizione (mezzi scarsi per usi alternativi) ha determinato, come risultante, alcuni videogiochi di potente impatto visivo che si posso ritenere dei capolavori.
Qual e’ la tua personale definizione di videogame?
Penso al videogioco come ad un varco all’interno della vita quotidiana, dove l’organizzazione del nostro tempo è data, organizzata e predefinita. Una forma di riappropriazione del nostro tempo di vita che è (almeno alle nostre latitudini) scandito da impegni e regole alle quali dobbiamo comunque soggiacere. I videogames sono, metaforicamente, una password, in una dimensione atemporale, che irrompe nel quotidiano, e per rimanere alla mia stiracchiata metafora il gettone rappresenta l’”Apriti Sesamo, voglio entrare”.
Sei un appassionato? Giochi?
Sono sempre stato fortemente attratto visivamente dai videogames, anagraficamente poi appartengo ad una generazione che ha seguito la diffusione e l’evoluzione dei videogiochi a gettoni (coin-op) nei bar. Questi ormai sono stati però monopolizzati dai VideoPoker relegando i videogiochi a gettoni in qualche bar di periferia o nei bar delle stazioni ferroviarie, che nostalgicamente continuo a frequentare.
Come si spiega, a tuo avviso, la ricorrente demonizzazione del medium videoludico, specie in Italia? Mancanza di apertura verso il nuovo, critica a priori a cio’ che non si conosce e si teme? Oppure la paura ancestrale che il game scardini i vecchi e consunti equilibri politici ed estetici?
Nella tua domanda condensi con grande precisione e intelligenza tutte le questioni centrali che lambiscono non solo le tematiche correlate ai videogame come linguaggio artistico ma anche al dibattito piu’ ampio sul piano delle arti visive. L’arte contemporanea, è tuttora condizionata da una prassi inespugnabile che è stata anche formalizzata teoricamente da alcuni critici ma nei fatti è data per scontata da tutti gli operatori del settore. Questa teoria delinea la stretta relazione che esiste fra l’opera ed il sistema dell’arte costituito dal gallerista, dal critico e dal collezionista. Senza la certificazione di idoneità estetico/formale/economica fornita dal trinomio galleria/critico/collezionista l’opera d’arte è considerata alla stessa stregua di un souvenir. Nel mondo dei videogames invece notiamo immediatamente una novità: qui il fruitore ed il suo giudizio costituiscono l’elemento centrale del processo. L’acquirente/giocatore è l’unico referente. Egli ha a disposizione tutti gli strumenti per giudicare autonomamente in libertà, non ci sono sovrastrutture concettuali. Il videogioco deve conquistare con le sue forze il giudizio dell’utente. Mutatis mutandis pensiamo cosa succederebbe se si esportasse un atteggiamento metodologico di questo tipo nell’ elitario mondo dell’arte contemporanea. Se si dovesse prescindere da quel complicato meccanismo di omologazione del contenuto artistico di un opera, se cioè l’opera d’arte dovesse rivolgersi direttamente proprio ai suoi fruitori, senza tutte le incrostazioni concettuali tipiche dei linguaggi artistici maturi. Un primo risultato si otterrebbe immediatamente, scomparirebbe la diffusa sensazione di inadeguatezza che si ha, in qualità di non addetti ai lavori, visitando una mostra di arte contemporanea, potendo finalmente liberare le attitudini critiche senza incorrere nello snobismo accademico che consegna l’arte contemporanea al giudizio di una elite. Come ha scritto l’economista John Maynard Keynes “The difficulty lies, not in the new ideas, but in escaping from the old ones”. Il portato rivoluzionario dei videogiochi risiede proprio in questo: rilegittimare la capacità critica del fruitore.
Sei stato tra i primi, in Italia ma non solo, a volgere la tua riflessione sul videogame. Cosa ti ha spinto a farlo?
La mia riflessione artistica sui videogiochi è iniziata circa 12 anni fa, nel 1995, quando decisi di dedicarmi in modo continuativo alla pittura. Mi condizionò una frase di Munch che sosteneva come lui dipingesse non cio’ che vedeva in quel momento ma cio’ che aveva visto. Chiudendo gli occhi, senza neppure sforzarmi molto, l’immagine che mi è apparsa immediatamente fu la furibonda e spietata lotta nel labirinto di Pac-Man. Mi sembro’ un soggetto di grande forza: un’ottima metafora esistenziale. I videogiochi permettono di evocare delle tematiche senza essere descrittivi, il loro linguaggio è cosmopolita, gli ingredienti sono immediatamente leggibili senza traduzioni di sorta.
“Obsolescence of Graphical User Interface” e’ una riflessione penetrante sulle interfacce grafiche, in cui mixi, ad esempo Word Star e Missile Command. Perche’ hai scelto il formato delle incisioni?
Il titolo che ho dato hai miei lavori “Obsolescenza dell’interfaccia grafica (“Obsolescence of G.U.I”) con il sottotitolo “W.Y.S.W.Y.G”. (“What You See Is What You Get”) è dovuto al fatto che la terminologia del mondo informatico ha una grande forza, dovuta probabilmente alla necessità di rendere intuitivo e accessibile l’uso del software. Gli acronimi che ne conseguono hanno in sé una precisione che neppure il linguaggio scientifico è riuscito a condervare. Senza addentrarmi nelle profonde scivolose gole delle linguistica, terreno a me totalmente sconosciuto che potrebbe causarmi delle brutte fratture, mi sembra che la terminologia informatica ristabilisca una perfetta correlazione tra la parola ed il suo referente, scremandole dalle mille incrostazioni retoriche depositate sul suo significato. Nel caso dell’acronimo che ho utilizzato come sottotitolo “W.Y.S.W.Y.G.” anche questo nasce come termine tecnico utilizzato per indicare la correlazione tra l’immagine che appare sul monitor e quella ottenuta una volta stampata (what you see is what you get) mi sembrava un ottima definizione per la mia pittura ispirata a una sorta di “realismo informatico”. La scelta di avere privilegiato l’interfaccia di alcuni programmi come ad esempio il logo del programma di video scrittura WordStar (sviluppato per l’ambiente MS-DOS) è riconducibile alla suggestione retinica prodotta dalla luminescenza dei caratteri ed il loro tremolio che si stagliava dai monitor monocromatico. Una suggestione estetica che pero’ nel caso del videogioco Missile Command si trasforma in una astratta ma drammatica rappresentazione di cosa possa produrre un cosiddetto bombardamento chirurgico: il totale annientamento della città. Il mix di questi ingredienti mi è sembrato un modo non retorico di evocare un tema: l’uso del linguaggio come strumento ideologico per legittimare con formule asettiche i crimini di sempre. Per quanto riguarda la recente scelta di dedicarmi all’ incisioni devo ringraziare due artistici che lavorano da anni all’interno della scena artistica internazionale come incisori di grande talento: Giovanni Turria e Giuseppe Iannello. Grazie alle loro indicazioni ho scoperto come una serie di tecniche (ad esempio la calcografia) siano ricche di possibilità espressive .
Qual e’ la stata la risposta critica alle tue serie su Pac-Man?
Ho avuto la fortuna nel 1997 di collaborare come illustratore ad un inserto dedicato alla storia dei videogames dell’Inquirer Magazine di Philadelphia .Mi conforto’ molto il fatto che fu utilizzata come immagine di apertura dell’inserto la foto di un mio dipinto dedicato a Pac-Man. Fu un grande onore. Ringalluzzito da quel successo mi tuffai, senza troppi indugi, all’interno del mondo artistico tradizionale, pensando di avere dimostrato così la validità dell’ approccio pittorico come trascrizione dell’universo pop dei videogiochi. Fu un errore di valutazione. Non solo il mio entusiasmo si spense presto, ma ebbi la nitida percezione di avere preso un granchio. Mi ricordo ad esempio nel 1998 una mostra in una galleria a Padova dedicata a DooM e a Pac-Man, organizzata dall’Assessorato alla Culture Giovanili del Comune. All’inaugurazione non venne nessuno, mi ritrovai letteralmente da solo in galleria e lo stesso critico, che doveva presentare la mostra si dimenticò dell’appuntamento. Da solo, con l’unica compagnia di due vassoi di tramezzini mi sembrò di dovere forse rivedere le mie previsioni, ma in quel momento di sconforto fece il suo ingresso un signore trafelato: “ecco”, mi dissi “un visitatore”. Ma fu solo l’illusione di un attimo… Cercava infatti la più vicina tabaccheria!
Tetris e’ un modus pensandi?
Tetris è uno videogioco straordinario che produce nei giocatori una sorta di ascetica propensione metafisica. Ho giocato a lungo con questo videogioco, anche nella sua versione in 3D. Produsse in me una formidabile ipnotica attrazione. Divenni un buon giocatore. Ma il gioco non finiva li’. Sviluppai, nel mio periodo parossistico una accentuata propensione a vedere lo spazio tridimensionale dei vani della mia casa e poi anche quella dei miei amici, come una sfida sempre nuova. Trovavo insopportabile che i mobili non si incastrassero perfettamente l’uno sull’altro, mi sembrava che tutto dovesse essere diretto a produrre spazi omogenei e che tutto si dovesse intersecare per finire al suo “posto” (almeno quello che io reputavo tale). Mi si spalancava la possibilità di diventare un ottimo addetto al layout in una azienda di traslochi.
Com’e nata la collaborazione con Vitaliano Trevisano
La collaborazione artistica è nata nel 1997 quando,mi dedicai ad un progetto di Trevisan dedicato alle rovine. “Ruins” era un’indagine sulla città, in questo caso Vicenza, teso a individuare e quindi “sfruttare”, letterariamente e artisticamente, le sue parti più nascoste e contraddittorie. Il sito dedicato alle rovine è ancoraonline ma da allora non è stato piu’ aggiornato, (occupandosi di rovine è una cosa naturale). Il sito si apriva con le parole di Trevisan:
“…sei un essere umano dotato di una vista particolare,
una vista ipersensibile, grazie alla quale sei in grado di percepire l’insieme e,
al tempo stesso, i particolari dell’insieme.”
Questo uomo solitario mi ricordava molto il protagonista di DooM. L’uomo solo che si muove all’interno di scenari dal contenuto drammatico. L’immagine del volto del combattente che soffre in progressione mi ricordava poi una frase di Fransis Bacon “Art always returns you to the vulnerability of the human situation”. All’interno del sito decidemmo per questa ragione di inserire un racconto connesso alle immagini del frame di DooM unitamente alle foto di Vitaliano sulle rovine. Con i testi di Trevisan e le mie immagini nacque “DooM Ruins”:. Poco dopo Undo.net ci invito’ a pubblicare un altro racconto per “SUBWAY”. Utilizzammo lo stesso modulo frame + immagine + testo e nacque “DooM SubWay”.
A cosa stai lavorando ultimamente?
Sto approfondendo una serie di lavori con la tecnica della calcografia. Il titolo di questo ciclo di lavori è dedicato agli animali e al loro disperato tentativo di attraversare le strade: “Valutazione di impatto ambientale per alcuni animali”. Sono ispirati ad un videogioco Frogger – il tentativo di una rana di attraversare una strada appunto – e hanno trovato collocazione in un libro (con tiratura limitata come libro d’arte) che ospita un testo di Stefania Portinari (ricercatrice dell’università’ di Venezia) ed è stato stampato all’Officina Arte Contemporanea di Vicenza che sviluppa da ormai dieci anni una intensa attività editoriale legata alla poesia e all’incisione.
Nel 2005, Mitrovich ha anche completato una serie intitolata “Sculture Da Scrivania” che l’artista definisce cosi’: “Queste piccole installazioni rientrano concettulmente nella diffusa propensione di riempire lo spazio tridimensionale del lavoro con una serie di oggetti, pupazzetti, foto ninnoli etcc… che svolgono la funzione di fare compagnia al loro autore. Nella mia gloriosa carriera di rigattiere, non avendo mai trovato il coraggio di liberarmi delle innumerovoli cianfrusaglie che mi trascino dalla piu’ tenera età, ho ben pensato di trasformarle in sculture per impedendirmi cosi’ di farle finire dove dovrebbero finire (cioè in un cestino)”. Le immagini sono visibili qui.
Frammenti Epistolari di Enrico Mitrovich
“Penso che i Videogames siano, non una, ma La forma d’arte caratteristica del XXI secolo, come per l’ottocento lo è stata la fotografia e per il novecento il cinema. Hauser Arnold se potesse inserire nel suo “Storia Sociale Dell’Arte” un nuovo capitolo non ho dubbi che lo riserverebbe ai videogames.”
“L’interfaccia grafica così come si è configurata negli ultimi 30 anni, condizionata dai limiti dell’hardware, ha generato un linguaggio nuovo, rivoluzionario, intelligibile, intuitivo ed emozionante”.
“Gli altri linguaggi tradizionali , (la pittura, le installazione, i video) esangui, spossati dalle avanguardie, incrostati da mille interpretazioni concettuali, non sono lontanamente in grado di appropriarsi della complessità del reale con la stessa forza dei videogiochi”
“Mi sono chiesto per anni come mai i videogames avessero questa forza esegetica. Penso che il motivo sia legato proprio dal fatto che i limiti dell’hardware, delle schede grafiche e delle memorie a disposizione dei programmatori, abbiano generato , come risultante, un approccio metodologico molto simile al metodo induttivo.”
“Si ricostruisce la complessità del reale partendo dagli elementi costitutivi. La forza nell’evoluzione dei videogames è proprio questo processo di appropriazione della complessità del reale attraverso l’astrazione. Astrazione inizialmente da tutto cio’ che non è necessario, forzati appunti dai limiti di cui sopra, per passare poi a configurazioni vieppiù complesse quando l’hardware lo permetta”.
“Leggendo la storica intervista di Francois Truffaut a Hitchcock c’è tutta una sezione dedicata al cinema muto. Dove Hitchcock sostiene come la cosiddetta epoca silente – il cinema muto appunto abbia costretto a sviluppare una forma di recitazione e di ripresa, innovative e di grande forza, proprio per la mancanza del sonoro, forza che si è persa con il sonoro, con le dovute differenze la generazione dei videogames arcade è come il cinema muto, i mezzi scarsi hanno generato una sintesi potente”
“Gli ingredienti dei primi videogames sono infatti ricchi di riferimenti iconologici archetipi, dove come in un percorso ancestrale a ritroso, ritorniamo a casa nostra, cioè in una grotta” (Enrico Mitrovich).