“In sette terrorizzati da un pettirosso”
di Alberto Fabris
Venire a contatto con le opere di Enrico Mitrovich significa dover fare i conti con alcune qualità assai rare in un mondo (quello dell’arte contemporanea) normalmente impegnato a prendersi terribilmente sul serio: l’ironia, l’umorismo sottile e lo sberleffo sembrano rivolti al fruitore dell’opera tutto preso e pensoso di fronte a tele che “essendo arte” non possono che ispirare serissime e meditatissime riflessioni. Enrico ci guida invece, attraverso un uso intelligente dei titoli, ad una lettura “sovversiva” della realtà così come “appare”, andando a colpire soprattutto la vanagloria di un mondo che si arresta spaventato di fronte ad un pettirosso o a irridere il severo scrutare dei raggi X che rivelano un orsacchiotto nel bagaglio di un bambino. Affascinato dall’immagine fotografica Mitrovich non si accontenta di collezionarla e riproporla come percorso della memoria, spesso invece è proprio l’immagine a spingerlo verso una reinterpretazione dei dettagli del mondo, vendicando in qualche modo la pittura messa all’angolo dalla fotografia e spinta ai margini estremi del concettuale per usarla come fonte ermeneutica, come ribaltamento del “falso” fotografico nell’autentico pittorico. Mitrovich ci invita con la sua intelligenza mite e leggera a riflettere sulle parole di Richard Bandler: “Se siete seri siete bloccati. L’umorismo è la via più rapida per invertire questo processo. Se potete ridere di una cosa, potete anche cambiarla.”