Elogio del giardino
Il giardino è il luogo perfetto della riconciliazione tra l’uomo e la natura. E l’arte dei giardini è in un certo senso l’arte suprema, perché è arte vivente e da vivere, arte che può essere percorsa.
Si può sostare nell’opera. Ci si può tornare, e non sarà mai uguale a sé stessa. E se ha ragione Oscar Wilde quando afferma, con il plauso generale, che nulla è più necessario del superfluo, i giardini sono assolutamente necessari, perché rappresentano una natura coltivata per il puro diletto, quello di cui si può godere quando si è oltre la necessità, quando dalle costrizioni della sopravvivenza si approda al mondo dell’estetica dei colori, dei suoni, dei profumi. In questo senso il giardino è anche il luogo della riconciliazione dell’uomo con il tempo. Un giardino invita ad una passeggiata calma, ad una sosta filosofica su una comoda panchina, ad una contemplazione meditativa all’ombra di un albero fronzuto. Certo, Et in Arcadia ego, ma in un angolo di un giardino si può leggere questa iscrizione con una malinconia temperata dalla bellezza del luogo, con una serenità che certamente Epicuro consiglierebbe.
Altrettanto affascinanti dei giardini fatti di acque, felci, rocce, fiori, odori e suoni sono le rappresentazioni dei giardini nelle illustrazioni e nei dipinti. Molti ci mostrano luoghi che non esistono più, perché se creare un bel giardino è lavoro lungo e paziente, spesso costoso, per distruggerlo bastano talvolta pochi mesi di incuria, o un incauto e rozzo intervento urbanistico di cementificazione ed asfaltatura. Dalle immagini dei giardini emerge una storia affascinante nella quale si avvicendano sentimenti, stili, conoscenze botaniche, tendenze artistiche, importazioni di specie esotiche, mode passeggere. I giardini sono stati monumentali o intimi, rigorosi o suggestivi, romantici o classici, sobri o sfarzosi, vasti o minuscoli, formali o capricciosi, scientifici o folli. Attraverso il giardino della domus romana, l’hortus conclusus medioevale, gli orti conventuali
per la coltivazione dei semplici, le siepi ben potate e le statue di dèi ed eroi del mito nei
giardini italiani del Rinascimento, i giardini botanici delle università, gli scenografici parterres de broderie dei giardini francesi, le suggestive vedute offerte dai viottoli tortuosi del giardino romantico, la storia dei giardini accompagna e riflette quella della cultura umana.
Un grande giardino nasce dalla ricchezza, ma dove la comunità che lo eredita ha la sensibilità per conservarlo diventa un patrimonio di tutti. Il tempo è molto democratico; dove un tempo passeggiava il Re Sole con la sua ossequiosa corte, oggi chiunque può percorrere, a Versailles, i grandi viali bordati da sontuosi parterre fioriti. Dove il ricchissimo Sir Thomas Hanbury realizzò il suo sogno di un giardino botanico esotico digradante verso le luci del mare Tirreno, presso Ventimiglia, oggi con un modico prezzo per il biglietto di ingresso possiamo tutti ammirare
gli esemplari di Araucaria bidwilli, dell’Australia orientale, dell’africana Acacia karroo,
della Cantua buxifolia, una polemoniacea del Perù, le fioriture, a settembre, della Brunsvigia josephinae, amarillidacea del Sud Africa, e un esemplare maschile di Olmediella betschleriana, una rarissima flacurtiacea messicana.
Si deve coltivare il proprio giardino. Il giardino, come è noto, è una metafora della vita, e i tortuosi labirinti di siepi di bosso, presenti in tanti parchi, vengono a sottolineare questo simbolismo.
Coltivare un giardino metaforicamente significa dedicarsi ad una attività creativa che ci
rappresenta e ci fa esistere. Non a caso si dice “coltivare” un interesse. Enrico coltiva pitture ed è un bravissimo giardiniere, e il suo giardino è il luogo perfetto della riconciliazione con l’arte. Da appassionato, anche se come dilettante, in tutti i sensi, amo frequentare mostre e pubblicazioni d’arte. Spesso tuttavia l’arte contemporanea mi respinge perché la trovo vuota, o cerebrale, o mancante di ars, che è poi la téchne dei greci, ovvero della speciale abilità manuale del vero artista. Oppure mi sento vittima di un facile meccanismo di provocazione da shock art, o dei sistemi promozionali di un mercato dell’arte non di rado truccato. Spesso incontro un’arte desolata come una periferia industriale o tragica come un incidente stradale; nulla che
assomigli ad un giardino. Nell’arte di Enrico trovo invece tutta la bellezza e la leggerezza di cui abbiamo bisogno. Non c’é dubbio: il pathos abbonda, ma è temperato dall’ironia che è il segno della vera intelligenza, ed espresso con uno stile ed una mano invidiabili! Vi si coglie il riflesso del nostro mondo tecnologico, insieme ad una nostalgia per il mondo della natura, dal quale troppo spesso la vita di oggi ci allontana. Enrico riesce con ogni sua creazione a sorprenderci,
e una passeggiata nel suo giardino artistico è un balsamo salutare. Dovrebbe essere prevista la possibilità di prescriverlo con ricetta medica (con detrazione fiscale per spese relative al SSN in caso di acquisto delle Mitrovichopere). E così come è avvenuto per lo storico giardino di erbe medicinali di Padova, l’Hortus simplicium, anche quello di Enrico Mitrovich dovrebbe essere dichiarato Patrimonio dell’Umanità.